(CAVALIERI MARVEL)

 

N° 27

 

VIVA LA REVOLUCION

 

(PARTE SECONDA)

 

 

 IL MORSO DELLA TARANTULA

 

 

Di Carlo Monni (con il determinante contributo di Fabio Volino)

 

 

1.

 

 

            Sette giorni fa. New York, sede dell’Ambasciata o, per essere più esatti, Missione, della Symkaria all’O.N.U. Secondo il Dipartimento di Stato, la Symkaria è solo un piccolo paese dei Balcani, incastrato tra la Serbia, la Latveria e la Molavia. La sua lingua nazionale è il Serbo-Croato nella variante detta Symkariano, la sua forma di Governo è la Monarchia Costituzionale, Potrei tediarvi con altri dati sul suo prodotto interno lordo, l’agricoltura ed altre amene cosette, invece mi limiterò a divi che il Bilancio annuale della Symkaria è sovvenzionato in massima parte dagli introiti di una sola organizzazione: la Silver Sable International. Nata per dare la caccia ai criminali di guerra nazisti, quest’organizzazione ha esteso i suoi interessi a qualsiasi ramo della sicurezza privata e pubblica, se il prezzo è adeguato e non ci sono contrasti con lo scopo dell’organizzazione stessa. Il cuore della Silver Sable International è un gruppo di agenti scelti, dotati di equipaggiamento superiore ed addestrati duramente a superare ogni difficoltà e battere qualsiasi nemico, un gruppo noto come Branco Selvaggio; il cuore (e fegato) di questo cuore è una sola donna dai capelli color argento e gli occhi blu cobalto, dura come l’acciaio, eppure squisitamente femminile, combattente eccezionale e sofisticata donna di mondo, Il nome con cui tutti la conoscono è Silver Sable e non pretende dai suoi uomini nulla che non pretenda, doppiamente, da se stessa.

            Oggi il suo allenamento è disturbato dall’arrivo di un gruppetto di persone, di chiara origine latino americana, chiaramente nuovi potenziali clienti. Silver Sable li riceve, mentre termina la sua sessione giornaliera di judo. Si sbarazza dell’ultimo suo opponente, poi si rivolge a quello che sembra il capo dei nuovi arrivati:

-Cosa posso fare per voi Señores?- chiede.

            L’uomo prende la parola:

-Il mio nome è Ricardo Lopez e con i miei amici rappresento i patrioti di Delvadia Señora Sable. Credo che lei sappia che da anni il mio paese è oppresso da una spietata dittatura militare.-

-Mi dispiace per voi, ma io che posso farci?- replica Sable.

-Dopo tanto tempo, la ribellione ha ripreso vigore.- continua l’uomo –Abbiamo trovato nuovi fondi ed armi. Il popolo è pronto finalmente a sollevarsi contro i tiranni che ci opprimono.-

            Silver Sable abbozza un sorrisetto cinico.

-Tutto molto bello all’apparenza, ma continuo a non capire cosa c’entro io con le vostre lotte. Cosa volete da me?-

-Per dirla in parole semplici: un aiuto. Poco più di una settimana fa, un commando delle forze antigovernative ha assalito ed espugnato una base militare ai margini della jungla.[1] Il comandante di quella base era il nipote di uno dei membri della Junta e, per rappresaglia, sono stati imprigionati tutti i familiari dei “ribelli” conosciuti. Se i capi della rivolta non si consegneranno entro una settimana, verranno uccisi tutti. A parte la resa, c’è una sola possibilità: l’azione di un gruppo di commandos decisi che liberi tutti i prigionieri prima che sia troppo tardi. Se dovesse iniziare la rivoluzione, la Junta potrebbe decidere di far fucilare i prigionieri senza indugio.-

-Comprendo il vostro problema Señores, ma non vedo che cosa potrei farci. Le rivoluzioni ed i colpi di stato non sono esattamente la specialità della mia organizzazione ed inoltre, i nostri servigi sono molto costosi e, senza offesa, non credo che abbiate il denaro necessario.-

            L’uomo si morde le labbra, poi parla di nuovo.

-Per ciò che riguarda il denaro, forse ha ragione Señora Sable, non siamo ricchi, è vero, tutti i soldi che avevamo sono stati investiti per la nostra causa e non ne abbiamo abbastanza per i suoi onorari, ma nelle prigioni di San Pablo ci sono decine di innocenti in attesa di esecuzione ed io so che sarà il loro destino anche se noi ci consegneremo ai nostri nemici. Mi avevano assicurato che lei è una donna d’onore ed è al suo onore che mi appello. Non le parlo come capo di un movimento rivoluzionario, ma come l’uomo che in quelle prigioni ha rinchiuse la sua unica figlia ed una nipote di solo sette anni.-

            Sable gli aveva voltato le spalle ed ora si ferma e si volta di scatto.

-Una bambina? C’è una bambina tra i condannati a morte?- esclama.

-Si e non solo: ci sono almeno altri dodici bambini rinchiusi in quella prigione in attesa che sia deciso il loro destino.-

            Maledizione, pensa Sable, chiunque li abbia mandati da lei sapeva bene come toccare i tasti giusti per invogliarla ad agire.

 

            Due giorni fa. Delvadia. Tra i passeggeri di un aereo proveniente dal Messico, appena atterrato all’Aeroporto di San Pablo, c’è un uomo, un nero alto, di corporatura massiccia. Ha l’aria di chi ha sempre dovuto lottare per farsi largo nella vita ed è esattamente questa la verità. Il suo nome è Abraham Brown, Abe per gli amici. I più lo conoscono come proprietario di una palestra di arti marziali nel Bronx e pochi sanno che assieme ad altri tre amici, due uomini ed una donna, è stato membro di un gruppo di avventurieri noto come i Figli della Tigre. Non può dire di rimpiangere quei tempi, se non nel modo in cui si rimpiangono sempre le cose fatte quando si era più giovani, eppure, ogni tanto, il richiamo dell’avventura si fa troppo forte per resistergli, specie quando, come in questo caso, si mescola con un idealismo che si è sempre sforzato di nascondere sotto una patina da duro e con una ricompensa ragguardevole. Deve ancora capire perché Silver Sable abbia pensato a lui per quella che ha chiamato: “Una missione operativa”, ma non importa, quel che ha importanza è la missione. Una cosa l’ha capita. San Pablo è una capitale in stato d’assedio. Abe non ricorda di aver mai visto tanti soldati in un posto solo, se non nei film o nei reportage bellici, ci sono perfino i carri armati. È come se temessero un attacco imminente o avessero paura che gli stessi abitanti della città stiano per sollevarsi, o, forse, entrambe le cose. La paura, il sospetto, l’odio sono sentimenti che sembrano aver quasi assunto una consistenza fisica, tanto sono intensi ed Abe si ritrova a pensare che non sarebbe stato male avere al suo fianco gli altri ex Figli della Tigre,[2] ma non è il caso di rimuginarci troppo. Attraversa la piazza principale della città, il suo sguardo si ferma sulla statua che domina la piazza da una collinetta. Raffigura un uomo a cavallo con indosso un ampio poncho e qualcosa che sembra una maschera. Qualche eroe locale, indubbiamente, gli sembra di aver sentito qualcosa al riguardo, ma non ricorda bene. Scuote la testa e decide di non pensarci, mentre entra nell’Hotel dove lo attende una camera prenotata.

 

 

2.

 

 

            Ieri. Delvadia. Keith Bayard guarda il documento che ha appena firmato e fa un sogghigno. È qui che si distinguono i veri uomini dagli smidollati, pensa, o, per essere più realisti, è qui che si decide se la sua poltrona di Console Generale gli verrà strappata da sotto il sedere e lui si ritroverà senza lavoro e senza pensione. Quei bei tipi di rivoluzionari gli hanno chiesto di preparare un passaporto diplomatico per una persona di cui gli hanno fornito tutti i dati necessari. Passando sopra le questioni più chiaramente illegali del fatto, è chiaro per Bayard che i ribelli vogliono far entrare qualcosa nel paese, qualcosa che non dev’essere ispezionata alla frontiera, ma cosa? Armi probabilmente. A Washington non ne sarebbero contenti, questo può darlo per certo, ma Bayard si accorge che non gli importa più di tanto. Ha dedicato quasi trent’anni della sua vita al Sud America ed ha sempre detestato la dittatura delvadiana. Era ora che qualcuno pensasse ad abbatterla e poco importa che si travesta come il leggendario El Condor, dopotutto, i buoni, cari, vecchi, U.S.A. non possono pretendere di avere il monopolio dei buffoni in costume e poi… lui si è sempre ritenuto un uomo d’azione ed ora potrebbe avere l’opportunità di scoprire se si è arrugginito. Apre un cassetto e ne estrae una pistola, che soppesa nelle sue mani. Sa molto bene come si usa e presto potrebbe essere necessario vedere se è ancora capace di farlo

 

Oggi. New York. Natasha Romanov riattacca la cornetta del telefono. Nessuna novità da Londra sulle condizioni di Clive Reston. Ripensando alla conclusione della sua avventura con Fu Manchu e Fah Lo Suee,[3] la Vedova Nera non può che vederla come un fallimento: la sua missione in Siberia ed Estremo Oriente si è conclusa con un nulla di fatto; non ha capito quali fossero i piani di Fu Manchu e della sua diabolica figlia, né per quale scopo quella perfida donna avesse portato lei ed il suo compagno d’avventura, Yuri Ivanovitch Petrovitch, sino alla villa inglese di Sir Denis Nayland Smith, ex capo del MI6 e nemico storico di Fu Manchu. Per colmo di sventura, Clive Reston è rimasto vittima del bacio avvelenato delle labbra di Fa Lo Suee.[4] Grazie al cielo, la dose di veleno assorbita da Reston non era tale da ucciderlo immediatamente, ma questo non vuol dire che sia fuori pericolo, anzi, la sua vita è appesa ad un filo sottile che potrebbe spezzarsi da un memento all’altro. Poiché le disgrazie non vengono mai da sole, appena tornata da Londra Natasha ha visto il suo antico amante, Devil, scomparire nell’Hudson River, apparentemente dilaniato dall’esplosione di un pericoloso androide.[5]

La donna si alza ed esce nella terrazza del suo attico di Park Avenue guardando verso l’orizzonte.

-Sono io forse?- si chiede ad alta voce. -È la maledizione della Vedova Nera?-

-Non dirmi che credi a queste superstizioni Principessa.-

            A parlare è stato il padrino, mentore, autista e molto altro ancora della Vedova Nera: Ivan Ivanovitch Petrovitch, l’unica figura paterna che Natasha abbia mai veramente conosciuto. Come una specie di fantasma, le è apparso alle spalle, appoggiato allo stipite della porta finestra.

-Non è forse vero?- ribatte la Vedova –Tutti coloro che hanno incrociato le loro vite con la mia sono morti di morte violenta o hanno subito qualche disgrazia. Io sono capace di portare solo lutti e rovine a chi cerca di amarmi.-

-Stai dicendo un cumulo di sciocchezze e lo sai.- replica Ivan –Sei troppo intelligente per crederci davvero. Clive Reston non è in ospedale per colpa tua e nemmeno Murdock è morto, se lo è, perché è stato il tuo uomo anni fa. Entrambi erano consapevoli dei rischi connessi alla vita da loro scelta e quanto è loro successo non c’entra col fatto che ti conoscono… e non c’entra nemmeno con Alexi.-

            I muscoli del volto di Natasha si contraggono distruggendo la sua usuale maschera di impassibilità. Sono passati molti anni ormai, ma poche cose la turbano come il ricordo del suo defunto marito.

-Lui… è morto per salvarmi la vita.- dice.

-Come avrei fatto io… o anche altri, se è per questo.- replica Ivan -Non puoi ritenerti responsabile di tutti i mali del mondo Natasha, vivi la tua vita piuttosto.-

-Io… forse hai ragione Ivan, forse hai ragione.-

            Così dicendo, la Vedova Nera rientra in casa, sempre con espressione cupa. Ivan la segue scuotendo la testa.

 

            Ieri. Delvadia. Il luogo è un bunker sotterraneo la cui ubicazione è ignota ai più. Qui si sono condotti esperimenti molto segreti, il cui scopo era creare un soldato perfetto, c’è voluto del tempo, ma, alla fine, lo scopo è stato raggiunto.

            Nella sala ci sono alcuni uomini in alta uniforme, altri che indossano camici bianchi ed uno solo rivestito da un costume rosso e blu, su cui campeggia l’immagine stilizzata di uno dei ragni più pericolosi: la tarantola.

-Sono soddisfatto, professore.- dice il Presidente di Delvadia –Finalmente Tarantula è di nuovo tra noi. Ho visto con i miei occhi quanto sia agile e forte e come abbia abbattuto ben dieci soldati armati a mani nude.[6] Confesso, però, di essere scettico sul fatto che abbia davvero i poteri di un ragno.-

-Comprendo.- commenta lo scienziato capo scuotendo il capo, senza far notare troppo l’espressione di compatimento sul suo volto –Sehr Gut. Ci vuole poco a dimostrarlo. Herr Tarantula, lei sa cosa può fare vero?-

-Perfettamente Señor. Se il suo bagno genetico mi ha davvero fornito i poteri di un ragno, allora io posso fare…. QUESTO!-

            Spicca un salto incredibile e raggiunge il pavimento della sala, attaccandosi ad esso con la punta delle dita, poi si dondola e lascia che il suo movimento lo spinga contro una parete a cui si attacca con mani e piedi e comincia a scivolare rapidamente lungo la parete stessa, per poi raggiungere uno dei militari e sollevarlo senza sforzo prendendolo per il collo.

-Mettimi giù!- urla l’uomo, sconcertato e spaventato e Tarantula lo lascia ricadere a terra.

-Come vede, Herr Präsident…- spiega lo scienziato -… ha esattamente gli stessi poteri dell’Uomo Ragno. I suoi guanti e gli stivali, pur essendo resistentissimi, sono così sottili da non ostacolare il suo potere di aderire alle superfici. La sua forza e resistenza sono esattamente pari a quelle di una tarantola che abbia il suo peso e la sua altezza. In parole povere, è quasi invincibile.-

-Perfetto e sa anche tessere una tela?-

-Ahimè no, non possiede la capacità di emettere fili organici, ma stiamo lavorando su un possibile sostituto: un polimero adesivo brevettato da un biochimico, un certo Parker, negli Stati Uniti e pensiamo di poterne ricavare presto qualcosa di molto utile.-

-Professore, lei si è davvero guadagnato la paga con questo ed avrà anche un premio extra.-

            Un discreto tossicchiare richiama l’attenzione dei presenti.

-Non dimentichi señor Presidente l’aiuto di chi ha reso tutto questo possibile.- dice un uomo vestito di scuro, un abbigliamento non molto adatto al clima del luogo.

-Ma certo Señor Warner. So molto bene che gli esperimenti sono stati resi possibili grazie al materiale ed agli appunti messi a disposizione del mio governo dalla Roxxon Oil e le garantisco che per domattina i documenti che vi garantiscono le concessioni richieste saranno firmati e pronti per essere consegnati.- risponde il Presidente.

-Non chiediamo di meglio e le assicuro che la mia compagnia è lieta di essere stata utile alla sua causa.- replica l’uomo di nome Warner.

            Per non parlare della causa dei nostri dividendi, pensa fra se,

 

 

3.

 

 

            Oggi. Las Vegas, Nevada. Il giorno di lavoro è cominciato molto presto per Harold Howard. Come al solito, ringrazia mentalmente l’efficienza della sua segretaria personale Miss Wright: tutta la documentazione di cui ha bisogno è allineata sull’ampia scrivania, suddivisa in ordine di argomento e priorità. Howard sorride. Chissà come fa quella donna? Si direbbe che non dorma nemmeno, potrebbe dirigere tutto il suo impero senza di lui e senza sforzarsi troppo. A pensarci bene, è divenuta quasi indispensabile, una delle poche persone a cui ha concesso il privilegio dell’accesso diretto e la possibilità di vederlo in volto. In molti considerano la sua mania della Privacy come una bizzarria da ricco al limite dell’ossessione. In effetti, deve ammettere che c’è qualcosa di patologico in questo, ma non gli importa molto, la leggenda che ha creato su se stesso non è senza scopo, in fondo. Legge rapidamente gli appunti di Miss Wright, poi preme un pulsante ed i monitor che costellano la parete dinanzi a lui si accendono in rapida successione. Ascolta con attenzione le notizie dai vari network, in special modo la C.N.N. e pensa che dovrà creare qualcosa di analogo molto presto, poi preme un pulsante e le immagini dei monitor cambiano, ecco apparire i volti dei dirigenti delle sue varie compagnie mondiali. Le telecamere a circuito chiuso gli permettono di vedere i loro uffici, ma il suo volto è per loro perennemente oscurato.

-Buongiorno Faversham come vanno le cose in Sudafrica?- chiede.

-Non molto bene signore.- risponde l’uomo di nome Faversham -Quelle concessioni diamantifere a cui aspiravamo sono ambite anche dalla Talon Corporation ed il Governo della Rudyarda sembra più orientato a favorire un’impresa con radici africane, piuttosto che una straniera.-

-Allora, forse, è il momento che la Rudyarda abbia un nuovo governo più sensibile agli interessi degli investitori stranieri, non le pare?- replica Howard.

-Signore, sta forse dicendo che…-

-Non sto dicendo nulla Faversham, sto solo osservando che quando una nazione ha un governo che non gode più della fiducia del suo Parlamento, quel Governo si deve dimettere, giusto?-

-In effetti… è così, Sir.-

-Sapevo che sarebbe stato d’accordo. La saluto Faversham.-

Howard si volge verso un altro monitor in cui compare il volto arcigno di un uomo sui sessant’anni, quasi completamente calvo.

-Buongiorno Leslie, come vanno gli affari?-

-Lo sai benissimo come vanno, Howard.- replica, seccato, l’uomo di nome Leslie Farrington. -È stata una delle tue compagnie a lanciare un’O.P.A.[7] sulle azioni della Delmar Insurance Company ad un prezzo che nessuno potrebbe superare, non negarlo.-

-Non lo nego affatto Leslie.- ribatte Howard –A dir la verità, posso annunciarti che l’O.P.A. è appena finita ed il Gruppo Delmar è, da circa cinque minuti, parte integrante della famiglia dell’Howard Conglomerate. Non preoccuparti, però, tu manterrai il tuo posto di Presidente. Come nuovo azionista di maggioranza, è mio interesse che la Delmar renda al massimo, come ha sempre fatto. La tua gestione non ha mai fatto mancare i profitti e ti garantisco che fintanto che continuerà così, non subirai interferenze da parte mia.-

-Credo di non riuscire a capirti, Howard.-

-Non è necessario che tu lo faccia, Leslie, basto io per questo.-

            Interrotto il collegamento, Harold Howard si concede un sorriso, non può negare di divertirsi in quello che fa, ora, però è il momento di esaminare i rapporti sull’affare Delvadia. Tutto sta procedendo alla perfezione, secondo il copione predisposto, comprese le reazioni di John Garrett. Prima di sera saprà se le cose hanno funzionato a dovere. Chissà che direbbero i buoni patrioti democratici di Delvadia, se sapessero i veri motivi di chi sta segretamente finanziando la loro rivoluzione? Non li sapranno mai e non avrebbe neanche importanza, dopotutto, lui sta dando loro proprio quello che vogliono e quello che avrà in cambio non li danneggerà affatto, anzi, potrebbe dire il contrario.

 

Oggi. Delvadia. L’uomo chiamato El Condor guarda l’orologio. È l’ora prefissata, il momento di agire.  Osserva lo strumento che ha in mano: un sofisticato telefono cellulare GPS dell’ultima generazione, dono del loro misterioso benefattore. Sotto la maschera che gli copre interamente il volto si permette un sorriso; sa bene che non ha a che fare con un benefattore, colui che li sta aiutando con mezzi e denaro, si aspetta una qualche forma di beneficio dal rovesciamento del regime del Generale Perez. La sua povera terra tormentata possiede ricchezze che il popolo non ha mai potuto sfruttare e ci sarà sempre chi vorrà farlo al posto suo. Lui è abbastanza realista da saperlo. Non importa, solo la vittoria finale ha importanza adesso; per questo ha deciso di assumere l’identità di El Condor, come fecero: colui che 180 anni prima guidò la lotta per l’indipendenza dagli Spagnoli e colui che negli anni ’30 guidò la rivolta dei contadini contro l’oppressivo regime di allora. Due vittorie di buon auspicio. Certo, da allora le cose non sono sempre andate nel verso giusto. Oggi nuovi tiranni opprimono le genti di Delvadia ed è, quindi, giusto che un nuovo El Condor sia venuto a riabilitare il suo nome ed a guidare ancora una volta la marcia verso la democrazia. Spera davvero di esserne capace? A volte si chiede se non sia la superbia a guidarlo. Per anni non ha fatto niente per il bene del suo popolo, accontentandosi di sterili proteste, ma ora ha la possibilità di essere più di un uomo, di diventare un simbolo delle speranze della gente e non è un atto di superbia ergersi sopra gli altri come se credesse di essere migliore di loro? Bando agli indugi, ed ai pensieri oziosi. La sua causa è giusta e lui ha una rivoluzione da guidare.

Fa una chiamata ed attende sino alla rapida risposta:

-Dimmi El Condor!-

-Noi siamo pronti, il segnale di partenza è ora!-

-Molto bene, ci rivedremo alla Capitale amigo!-

-Alla capitale, si!-

            La comunicazione viene interrotta ed El Condor balza su una Jeep che si mette in moto. Dietro di lui, uomini su Jeep, auto e cavalli. La marcia è cominciata.

 

            Ieri. Repubblica di San Concepcion. John Garrett sale sull’aereo che lo porterà a Delvadia e sogghigna pensando al Passaporto, perfettamente legale, che ha nella tasca della giacca. A pensarci bene, trova divertente l’idea di essere un funzionario diplomatico che contrabbanda armi per un’insurrezione contro il governo di uno Stato sovrano. Ridacchia pensando ai vecchi tempi, quando era pagato per fare ben altro che abbattere dittature militari, un bel cambiamento, non c’è che dire. Personalmente, pensa che Harold Howard non abbia tutte le rotelle a posto, ma non deve importargli, gli basta essere al posto giusto quando scoppieranno i fuochi d’artificio.

 

 

4.

 

 

            Ieri. Delvadia. Abe Brown è davvero tentato di darsi dell’imbecille da solo. Pensava di essere capace di penetrare nella roccaforte nemica, chiamiamola così, senza troppi problemi ed in effetti, almeno sino ad un certo punto, è stato così. Si è congratulato con se stesso per non aver dimenticato nessuna delle lezioni del Maestro Kee[8] su come muoversi silenziosi ed invisibili, aggirando ogni ostacolo e sentinella, ma, proprio quando pensava di avercela fatta, ecco che aveva sentito una voce dura alle sue spalle:

-L’ingresso in questo luogo è proibito agli estranei, Señor Gringo.-

            Abe si era voltato per vedere la figura di Tarantula

-E tu chi saresti?- chiese sarcastico –Il  fratello più brutto dell’Uomo Ragno?-

-Io sono Tarantula e l’avverto che se non si arrende, se ne pentirà amaramente.- replicò Tarantula.

            Abe si mise in posizione di combattimento, ma il suo avversario si mosse più veloce di quanto si aspettasse. Solo il suo incredibile addestramento gli permise di evitare il colpo. Mentre si lasciava cadere a terra, facendo una capriola che gli permise di rimettersi in piedi, Abe ricordò di aver sentito parlare di Tarantula. Se non ricordava male, ce n’erano stati due con questo nome, entrambi delvadiani: il primo era stato nulla più di un criminale di mezza tacca, morto dopo essere stato mutato da qualche scienziato pazzo in un vero ragno gigante;[9] il secondo, invece, era stato un agente del Governo dittatoriale ed era stato ucciso dal gruppo paramilitare chiamato la Giuria.[10]  Quelli, però, erano solo atleti superbamente addestrati, con un costume dotato di aculei velenosi nelle punte degli stivali; questo, invece, sembra proprio avere dei veri superpoteri, per la precisione analoghi a quelli dell’Uomo Ragno, Il Tessiragnatele originale avrebbe dovuto far causa a tutti questi imitatori: tra Ragni Rossi, ragni Neri e Donne Ragno le cose si stavano facendo davvero confuse. Mentre faceva queste riflessioni, Abe rispondeva colpo su colpo alle mosse di un avversario che era chiaramente più veloce e più forte di lui. Sin dalla giovinezza ad Harlem prima e nel quartiere nero di San Francisco poi, Abe Brown aveva imparato che la forza non è tutto, contano anche l’astuzia e l’abilità e, grazie ad esse, anche un avversario più forte può essere vinto da un combattente più abile. Belle parole, ma a che valevano, se non era capace di mettere a segno un solo colpo e, peggio ancora, quando ci riusciva, Tarantula sembrava non accorgersene? Era come combattere un Uomo Ragno, più anziano, più forte ed esperto, lo stesso Arrampicamuri avrebbe avuto le sue brave difficoltà. Lo scontro continuò ancora per un po’, ma, alla fine Tarantula, rimbalzando da una parete, riuscì a colpirlo alla schiena con una delle sue punte avvelenate. Mentre cadeva a terra con gli arti paralizzati dalla neurotossina iniettatagli, Abe penso, alquanto assurdamente che non sarebbe riuscito a tornare a New York in tempo per il battesimo dei suoi nipotini, poi perse i sensi.

            Questo era accaduto solo poche ore fa ed adesso, Abe si dice che non era proprio questo il modo in cui avrebbe voluto entrare nelle prigioni di Delvadia: legato strettamente con catene virtualmente indistruttibili. Non è solo, a quanto sembra, ci sono altri prigionieri nella sua cella, si direbbe che il regime non ponga il benessere dei prigionieri in cima alle priorità dei suoi standard carcerari. Bene, finché c’è vita, c’è speranza, si dice, è uscito vivo da situazioni peggiori, ce la farà anche stavolta. Riuscisse ad immaginare come.                                                                                                                                                

 

            Oggi. Delvadia. In seguito, i testimoni diranno che tutto si è svolto contemporaneamente o quasi, ma, al momento in cui tutto comincia, pochi sono in grado di avere un quadro d’insieme della vicenda. Mentre la colonna guidata da El Condor marcia verso la Capitale, uno stormo di elicotteri composto da unità di combattimento Apache e Cobra e da unità di trasporto truppe Sikorsky, attacca i primi reggimenti dell’esercito delvadiano, aprendo numerosi vuoti tra le loro fila. Quasi contemporaneamente, a San Pablo, muniti delle migliori armi che il denaro possa comprare, i Ribelli danno l’avvio ad una vera insurrezione cittadina. Ad osservare il tutto, un uomo, all’apparenza piccolo, insignificante ed anche un po’ sciatto. Il suo nome è Raymond Jenkins ed è il corrispondete delvadiano del News Service Network, un’agenzia di stampa che serve diversi organi d’informazione di lingua inglese e che fa capo alla News Service Corporation, una multinazionale dell’informazione proprietaria di giornali, TV, radio, Servizi Internet in tutto il mondo, per non parlare di un certo numero di satelliti per telecomunicazioni. Una notizia molto riservata è che la N.S.C. è una delle società controllate, attraverso un giro di altre società, dall’Howard Conglomerate. Una notizia ancor più riservata è che Mr. Jenkins era stato avvertito con largo anticipo dello scoppio della rivoluzione delvadiana ed è pronto a gestirne efficacemente la copertura mediatica. Già, perché sotto il suo aspetto dimesso l’egregio Jenkins nasconde una mente di prim’ordine al servizio dei piani di Harold Howard.

            Naturalmente questo non è noto, dopotutto, chi potrebbe mai sospettare che l’abbattimento di una feroce dittatura è stato favorito da un multimiliardario per il solo scopo di vendere più giornali e tenere il maggior numero di persone incollate ai suoi telegiornali? Come si potrebbe pensare che esita qualcuno così cinico? Già…come?

 

            Oggi. Da qualche parte nei cieli tra Costa Verde ed il Golfo del Messico. L’elicottero del Riparatore prosegue il suo volo invisibile ad ogni strumento di rilevamento, diretto verso gli Stati Uniti. A bordo, un gruppetto di variegate figure: ai comandi un uomo dai capelli neri e gli occhi grigi, il suo nome è Rick Mason e nella comunità dei Servizi Segreti è noto semplicemente come l’Agente, al suo fianco una giovane donna dai lunghi capelli neri, la pelle abbronzata ed i tratti latini, il suo nome è Victoria Maria Consuela, il suo cognome non ci è dato conoscerlo; il terzo membro del gruppo è un uomo dai capelli biondi tagliati alla militare, il suo nome è Bolivar South ed è un ex colonnello dei Servizi Segreti delle Forze Armate U.S.A. implicato, anni fa, in operazioni sporche con la dittatura di Delvadia e che ora viene riportato in patria, per affrontare un processo. Il quarto uomo del gruppo è il più colorato, indossa un costume ricoperto da un’armatura leggera color porpora, i suoi lineamenti sono celati da un casco, i suoi occhi da lenti a specchio, è un mercenario internazionale il cui vero nome è sconosciuto, è noto semplicemente come Paladin. Nonostante il suo apparente cinismo, è mosso da un personale codice d’onore che gli ha sempre impedito di accettare incarichi, per quanto ben remunerati, contrari alla sua etica, ma che, d’altro canto, non gli ha mai impedito di farsi pagare profumatamente per eseguire incarichi che avrebbe svolto anche gratis. In questo momento, sorveglia il prigioniero e si rilassa lasciando che i suoi pensieri vadano alla donna con cui ha una storia in questo momento: Natasha Romanov, la Vedova Nera. Non l’ammetterebbe mai, ma ha sentito la sua mancanza in questi ultimi giorni e spera di poterla rivedere presto. Non è ben sicuro della natura del legame che li lega, ma non si è mai tirato indietro di fronte ad una sfida e Natasha è una vera sfida ed interessante, per giunta.

L’elicottero atterra in un piccolo eliporto delle Isole Vergini Americane, dove li aspetta il loro contatto

-Siete arrivati appena in tempo Señores, è da poco arrivata notizia che in Delvadia è iniziata un’insurrezione contro il Governo Militare. Ormai si combatte per tutto il paese.-

-Cosa?- esclama Victoria –Ne siete certo?-

-Non c’è alcun dubbio amici, l’ha appena detto la TV.- risponde l’uomo.

-I miei compagni.- dice Victoria Maria Consuela –Non posso abbandonarli adesso, devo tornare indietro.-

            Paladin e Rick Mason si guardano l’un con l’altro e quel che Paladin legge nello sguardo del compagno d’avventure è più che eloquente, tanto da fargli chiedere a Mason:

-Immagino che tuo padre non se la prenderà se usiamo il suo elicottero ancora per un po’, che so, per tornare a Delvadia.-

-Non c’è bisogno che tu venga con noi, Paladin.- replica Rick –Io ho i miei motivi per accompagnare Victoria, ma tu… Il tuo compito è finito e puoi goderti la tua ricompensa.-

-Si, si lo so, ma… beh diciamo che sono in vacanza da ora in poi ed ho sentito che Delvadia è molto bella in questa stagione.-

            Victoria sorride e tende la mano a Paladin.-

-Io ti ringrazio Paladino, sei davvero un gran brav’uomo.-

-Sul serio? Non dirlo troppo in giro, però o la mia reputazione ne soffrirà e non guardarmi troppo con quegli occhioni neri o sarà Rick a far diventare neri anche i miei, temo.- si rivolge all’uomo che li ha accolti. –Il “pacco” è vostro ora. Assicuratevi che arrivi sano e salvo nelle mani del Dipartimento di Giustizia e che il mio onorario sia depositato nel conto indicato, come ha visto, io ed i miei amici abbiamo altre cose di cui occuparci.- si rivolge agli altri –Se abbiamo tempo prima della partenza, ne approfitterò per fare una telefonata, se volete scusarmi..-

 

 

5.

 

 

            Oggi. New York City. Il suo nome è Marc Spector, ma pochi intimi lo conoscono come Moon Knight, oltre che con altre identità. Al momento, è preoccupato. Il biglietto, che ha trovato al suo rientro a casa da una normale giornata di lavoro e datogli dal solerte maggiordomo Samuels, è anonimo, ma molto chiaro: qualcuno sa che lui è Moon Knight e che usa anche le identità di Steven Grant e Jake Lockley ed è pronto a farlo sapere ai media di tutta la Nazione, se lui non si presenterà ad un appuntamento sul tetto dell’Edificio della Spectocorp a mezzanotte.

-Lo sai che è una trappola, vero Marc?- gli dice la sua amata Marlene Alraune.

-Non sono certo uno stupido, tesoro.- risponde lui –Ma c’è un solo modo per far uscire allo scoperto questo ricattatore ed è rispettare l’appuntamento.-

-Chi pensi che sia? E come fa a conoscere i tuoi segreti? Forse Bushman[11] è tornato.-

-Chiunque sia, lo saprò presto ed abbi fiducia, non sono sopravvissuto sino ad oggi perché sono uno sprovveduto.-

            C’è sempre una prima volta, pensa Marlene e sarebbe una volta di troppo.

 

            Oggi. Londra. In un corridoio del Victoria Hospital, Sir Denis Nayland Smith riflette amaramente sul fato che ha consentito a lui, ormai troppo vecchio e malandato di vivere, mentre un giovane come Clive Reston lotta per sopravvivere. La lotta con Fu Manchu lo ha privato di molte persone che ha conosciuto e tutto per nulla. Novant’anni di lotta ed il suo nemico è sempre lì, più forte e vitale che mai. Questa può non può essere giustizia.

Vede arrivare una piangente Melissa Greville.

-Come sta?- gli chiede la giovane donna, riferendosi a Clive.

-Continua a restare in coma.- risponde Sir Denis –Purtroppo non ci sono miglioramenti. Ha una fibra forte e continua a lottare per la vita.-

-Dio voglia che ce la faccia… lui non può morire così, non lo sopporterei.-

            Il vecchio stringe la mano della ragazza.

-Miss Greville… Melissa, abbia fede. Clive è forte, ce la farà, mi creda.-

            La ragazza si asciuga le lacrime con un fazzoletto.

-La ringrazio Sir Denis…io…voglio davvero credere che Clive ce la farà…ci sono tante cose che…che…mi scusi.-

            Non sopporto le ragazze che piangono, pensa Sir Denis, mi fanno sentire ancora più impotente di quanto posso esserlo in questa maledetta sedia a rotelle. Voglio bene a quel ragazzo come al figlio che non ho mai avuto e spero davvero che ce la faccia. Deve.

 

            Oggi. Delvadia. Il primo scontro è finito e vinto, ma la strada verso la Capitale è ancora lunga e pericolosa. Il dado è tratto, ormai e non c’è alternativa alla vittoria. Finora ha avuto fortuna, oltre che abilità, ma presto, forse troppo presto, si vedrà se merita il nome di El Condor.

 

             Oggi. New York. Silver Sable ha ascoltato l’ultimo rapporto da Delvadia. La rivoluzione è cominciata e di Abe Brown si sono perse le tracce. A questo punto, non le restano molte scelte, anzi, solo una: il Branco Selvaggio deve agire alla svelta, ma prima di partire, ha bisogno di aiuto e sa dove andarlo cercare.

            A casa di Hobie Brown regna la felicità in questi giorni, dopo la nascita dei due gemelli Lincoln e Maria.[12] Hobie e Mindy si godono un po’ di meritato riposo assieme ai loro figli, quando il telefono squilla e dall’altra parte del filo parla una voce femminile.

<<Hobie Brown, sono Silver Sable.>>

-Si ho riconosciuto la voce, ne approfitto per ringraziarti per i fiori che hai mandato per la nascita dei gemelli, erano molto belli.- risponde Hobie.

<<Lasciamo stare i convenevoli.>> replica seccamente Sable <<Ho bisogno dell’aiuto di Prowler.>>

            Ma dove sono finiti i vecchi tempi, pensa Hobie, quando le identità segrete dei supereroi non le conosceva quasi nessuno?

-Mi dispiace…- ribatte -… ma in questi giorni è più impartante che resti con la mia famiglia, con i miei figli. Se ti serve aiuto perché non provi con l’Uomo Ragno?-

<<Non ho tempo per contattarlo. C’è in gioco la vita di alcuni bambini, per non parlare di quella di tuo fratello Abe.>>

            Al sentire quelle parole, Hobie si irrigidisce.

-Dimmi tutto.- replica.

            A quanto pare, pensa, non è ancora stata scritta la parola: “Fine” per Prowler.

 

 

FINE SECONDA PARTE

 

 

NOTE DELL’AUTORE

 

 

            Alla fine di questo secondo episodio, solo poche note esplicative

1)       Silver Sable ed il suo Branco Selvaggio sono, o dovrebbero essere, noti a tutti voi, i pochi che non li conoscono, avranno notizie più approfondite nel prossimo episodio, dove reciteranno un ruolo molto importante.

2)       Abraham Brown è uno dei membri fondatori del gruppo, ormai disciolto, dei Figli della Tigre, che ebbe l’onore di un breve, ma ottimo, serial sulla rivista in bianco e nero “Deadly Hands of Kung Fu” dal 1974 al 1975, serial che proseguì direttamente in quello della Tigre Bianca, sempre nella stessa rivista. Abe è anche il fratello maggiore di Hobie Brown, alias Prowler, che ritroviamo in queste pagine reduce dagli eventi dell’ultimo episodio (il nono) della sua serie personale, in cui è diventato padre di due gemelli eterozigoti e di sesso diverso.

3)       L’apparizione di Moon Knight in quest’episodio fa da prologo a quella in Difensori #29 e successivi a cui vi rimando. Ritroverete il Cavaliere della Luna in questa serie, subito dopo la sua avventura coi Difensori

4)       A Fabio Volino va un sentito ringraziamento per avermi concesso di usare idee e personaggi di un suo soggetto non utilizzato di Prowler che, abilmente (si spera -_^) “mixato” con un soggetto originale del sottoscritto sullo stesso tema, con l’uso dei personaggi tipici di questa serie, costituisce l’ossatura portante di questo e, soprattutto, del prossimo episodio. Ancora Grazie Fabio.

Nel prossimo episodio: la rivoluzione si avvicina a Delvadia e uomini come John Garrett hanno il loro ruolo da giocare, mentre nella Capitale si svolge la partita decisiva e la posta in gioco è la vita umana. In più: El Condor contro Tarantula nel modo più inaspettato ed il resto dei nostri personaggi fa la sua mossa per il futuro di Delvadia.

      A presto.

 

 

Carlo



[1] Vedi Marvel Knights #21

[2] Robert Diamond, Lin Sun e Lotus Shinkuko

[3] A proposito della quale, consiglio caldamente la lettura degli episodi #24 e 25 di questa serie.

[4] Nel citato #25

[5] Come dettagliato in Devil #25

[6] Nell’ultimo episodio.

[7] Offerta Pubblica di Acquisto

[8] Il maestro dei Figli della Tigre, morto in Deadly Hands of Kung Fu #1 (Shang Chi, Maestro del Kung Fu, Corno, #3)

[9] Vedi Amazing Spider Man Vol 1° #234/236 (Uomo Ragno, Star, #22/23)

[10] In Venom: Winner Takes All (Venom, Marvel Italia, #23)

[11] Il nemico principale di Moon Knight, nonché suo ex capo quando Marc Spector e Frenchie erano mercenari in Africa.

[12] Vedi Prowler #9, l’ultimo della serie.